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Psicopatologia della consulenza digital, ovvero: il rapporto tra cliente e fornitore

I progetti felici sono riusciti tutti allo stesso modo. I progetti infelici sono,  ognuno a modo suo, frustranti (semicit.). Provo a raccontare tramite tre categorie le spie dell’infelicità di un progetto, per magari, riconquistarlo.

Sigmund Freud

Sigmund Freud

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In fase di pre-sale, il consulente si trova ad un nuovo potenziale progetto, di cui se va bene, ne sa poco. Per questo il materiale che richiede al prospect è fondamentale per minimizzare l’asimmetria di informazioni che divide uno stato di ignoranza a uno stato di idea di contesto. Una volta che il prospect diventa cliente, la qualità delle informazioni che condivide è basilare.

Un certo tipo di cliente non lo confesserà ma questo tipo pensa di avere il diritto di non garantire uno standard qualitativo nel materiale, nella qualità delle risposte e dei dati che fornisce, così nella scala estrema delle illusioni, vede il lavoro del fornitore come quello di un Roberto Baggio del marketing che gioca in un campo così-così e all’ultimo minuto piazza la punizione, vince la partita e gli salva – aziendalmente- la faccia (da cui si evince una certa visione semplicistica, individualistica, emotiva e  ascensionale). Funziona davvero così?

Credo lo sia solo in rari casi. Credo – banalmente – che un progetto per andare in una direzione positiva (dati degli obiettivi e delle fasi riassumibili in un accordo) sia figlio dei due attori coinvolti: cliente e consulente/fornitore, appunto. Lo dico sempre quando mi trovo in una fase di pre-sale,  tutti rispondono, certo! assolutamente! condividiamo, ma ciò significa che se il consulente lavora per sviluppare il progetto, il cliente deve metterlo in condizioni di farlo.

Dinamica

Il cliente è in una posizione di superiorità (paga) ma al tempo stesso di poca/bassa competenza sulle tematiche cui il consulente/fornitore deve lavorare (se non ha chiaramente figure verticali al suo interno). Deve valutare le proposte di cui ha scarsa consapevolezza, in pratica fidarsi con diffidenza o pretendere delle modifiche arbitrarie. E non è affatto facile. Il compito del consulente è quello di essere convincete, ma alle volte, non basta.

Nella testa di certi clienti, è al consulente/fornitore che viene “concessa” la totale responsabilità del progetto ma, nei confini che il cliente stabilisce (alert che anticipa con tutta probabilità – come in una partita a scacchi- l’azione difensiva futura: il cliente interpreterà con civettuola disinvoltura l’arte dello scaricabarile).

Arrivati però a questo punto mi chiedo: siamo ancora consulenti/fornitori o ci stiamo sostituendo al suo reparto marketing?

Consapevolezza

Dobbiamo studiare. Per migliorarci, certo. Ma è fondamentale che anche il cliente studi, l’unico modo di difendersi dalla fuffa è la consapevolezza. O quanto meno, seguire la formazione (personalmente cerco di inserire delle ore dedicate in ogni progetto) rileggersi le slide, fare domande. Ed eventualmente, seguire corsi di formazione “indipendenti”. Perché si avrà un terreno di confronto comune fatto di terminologie e KPI, limitando quella certa zona grigia tanto cara a chi fa dell’ambiguità il proprio habitat (da ambo le parti).

Nel continuo del progetto, i livelli di stress aumentano. Molti parlano. Alcuni discutono. Ma tutti vogliono performance anche se in realtà cercano miracoli. E se i risultati sono la pianificazione di un percorso comune, i miracoli sono episodici inciampi individuali. Quando capitano, si banchetta tutti assieme: è andata bene.

L’ultima Cena di Leonardo Da Vinci

L’ultima Cena di Leonardo Da Vinci

Ma in genere, i miracoli, sono l’anticamera del martirio.

Federico Pischedda
Mi occupo di Marketing declinando strategie tra ecosistemi Online e Offline. Il mio motto? Se sai solo di marketing, non sai niente di marketing.

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